C’era un tempo in cui la Lazio era, di fatto, la regina incontrastata del calciomercato, vinceva trofei in ambito nazionale ed europeo grazie ad una rosa di prim’ordine. Era la Lazio di Cragnotti, quella degli eccessi dal punto di vista della gestione economica della società, che di lì a qualche anno rischiò di sparire dalla cartina geografica del calcio italiano a causa dell’enorme quantità di debiti accumulati e al crack del Gruppo Cirio.
Il Calciomercato Lazio, a quei tempi, era davvero di prim’ordine, sia lato acquisti che vendite. Emblematico, in tal senso, quanto avvenuto con Christian Vieri, acquistato per 50 miliardi nell’estate del 1998 dall’Atletico Madrid e rivenduto, poi, a quasi 90 miliardi (75 “cash” + il cartellino di Simeone) solo dodici mesi più tardi. Durante l’era Cragnotti, i tifosi laziali non hanno passato certo delle estati poco emozionanti.
50 miliardi, ma la Lazio aveva già un centrocampo stellare
Il flusso di notizie, d’altro canto, è sempre stato piuttosto elevato. E sia i colpi in entrata e in uscita, da Veron a Crespo fino a quelli meno riusciti come Mendieta e De la Pena, non sono certo mancati nel decennio di presidenza Cragnotti. Per far comprendere quanto fosse effervescente l’operatività dei dirigenti biancocelesti sul mercato, un caso eclatante è rappresentato dal passaggio di Stefano Fiore in maglia biancoceleste.
Il trequartista calabrese, nel corso di una superba stagione con la maglia dell’Udinese, venne convocato da Dino Zoff per le amichevoli in preparazione dell’Europeo del 2000. E riuscì ad impressionare l’allora ct azzurro, che lo convocò per la fase finale della massima manifestazione continentale e decise di regalargli una maglia da titolare.
Fiducia ben ripagata, considerato che Fiore fu tra i migliori azzurri di quella spedizione, che vide l’Italia guadagnare il secondo posto dopo aver perso in modo rocambolesco la finale contro la Francia. La Lazio, fresca “Campione d’Italia”, decise di acquistarlo per ben 50 miliardi del vecchio conio (circa 25 milioni di €uro attuali) e lasciarlo in prestito ancora un anno al club friulano.
Una decisione che, all’epoca, non suscitò più di tanto clamore, a testimonianza di quanto fosse competitiva e forte la rosa laziale. Anzi, la maggior parte degli esperti riteneva che la Lazio avesse agito oculatamente, considerato che Fiore, in una Lazio tra le cui fila militavano giocatori come Veron, Stankovic, Nedved e Simeone, correva il serio rischio di trovare poco spazio a causa della feroce concorrenza a centrocampo.
L’esperienza doubleface di Fiore alla Lazio: male con Zac, strepitoso col Mancio
Oggi nessuna squadra, probabilmente neppure i ricchissimi City o PSG, lascerebbe un neo-acquisto in prestito come Stefano Fiore, all’epoca venticinquenne e tra i massimi protagonisti dell’Europeo, dopo aver speso una cifra elevata per acquistarlo. Altri tempi, verrebbe da dire. Ma che testimoniano come la Lazio, a quei tempi, fosse una delle società più competitive del mondo calcistico.
Competitività, per quanto ovvio, drogata da artifici contabili, che hanno consentito ai tifosi biancocelesti di vivere i migliori anni della loro vita da supporters della Lazio. Tornando al centrocampista calabrese, l’esperienza in maglia biancoceleste durò tre stagioni e non partì certo nel miglior modo possibile. A Roma trovò inizialmente quel Dino Zoff che lo lanciò in Nazionale, ma dopo solo quattro partite fu sollevato dall’incarico.
Il posto del tecnico friulano fu rilevato da Alberto Zaccheroni, col quale, purtroppo, non scoccò la scintilla. Il gioco dell’allenatore romagnolo, infatti, mal si sposava con le caratteristiche di Fiore, che negli anni con l’Udinese si impose come trequartista di prim’ordine. E Zac, nonostante avesse vinto uno Scudetto al Milan schierando Boban trequartista, mal digeriva quel tipo di giocatore.
Andarono decisamente meglio, invece, le due stagioni successive grazie all’avvento in panchina di Roberto Mancini, che riuscì ad esaltare le doti realizzative di Fiore e le sue straordinarie qualità nel far da raccordo tra centrocampo e attacco. Nelle stagioni col Mancio in panchina, Fiore mise a segno la bellezza di 25 gol e riuscì a fruttare alle casse laziali, in quel momento decisamente ridotte all’osso, 17 milioni di vitale importanza per il bilancio societario grazie alla sua cessione al Valencia.